Geraldina Piazza

Era l’8 dicembre…

L’8 dicembre era una data importante a casa Giaconia.

Lo zio Gaetano e la zia Mimmi Pottino tornavano dalla lunghissima stagione campagnola in cui avevano accudito amorevolmente l’azienda Agricola San Giovanni. I lavori si erano susseguiti e avvicendati da marzo in poi. La cura del raccolto, la mietitura, le pecore con la loro lana e la ricotta squisita, la pulizia dei campi e la semina delle varie colture che avrebbero sostituito il grano per non impoverire troppo il terreno, la vendemmia, la raccolta di pistacchi, mandorle, noci, castagne e altri frutti squisiti che arrivavano a Palermo in grandi sacchi di juta ai quali potevamo attingere noi nipoti. E ancora, la vendemmia, la monta dei cavalli e la nuova semina del grano e, in ultimo, la raccolta delle olive.

Zia Mimmi e zio Gaetano a San Giovanni

Quando rientravano a Palermo, con la vecchia station vagon (allora si chiamava “familiare” o “giardinetta”) era una festa. Anche perché si riapriva la villa. 

La zia Mimmi tirava fuori l’argenteria, le tovaglie e i centrini di pizzo o da lei ricamati, e le piante, che riempivano la casa. Aveva un’abitudine buffa, che non scorderò mai: riempiva ogni ciotola o vasetto con le patate americane che, nelle sue sapienti mani, diventavano rampicanti da foresta amazzonica!

Quindi, l’8 dicembre, riunione della famiglia per i festeggiamenti. C’era la zia Giovanna Terranova che compiva gli anni proprio quel giorno e la zia Mimmi che li faceva il 7 mentre festeggiava l’onomastico per l’Immacolata pur chiamandosi semplicemente Maria.

C’eravamo tutti, quando questa parola aveva un significato gioioso. Le sorelle erano sette con un fratello. Fra mariti, mogli, figli e nipoti si arrivava agevolmente a una cinquantina di persone.

Ricordo questa festa con una commozione e una tenerezza che ancora sento vive in me. 

Quando c’era papà, con lo zio Cesare Terranova, la zia Mimmi era spesso oggetto di scherzi. Aveva l’abitudine di stare seduta a tavola levandosi almeno una scarpa di nascosto, e, naturalmente, questa spariva trafugata dai cognati. Una volta, mentre stava seduta sul divano con le gambe accavallate elegantemente, lateralmente, con il tallone fuori dalla scarpa, papà mise un piccolo choux con la crema sotto il suo piede e la chiamò dicendole che Giovannino, in cucina, aveva urgente bisogno di lei. Quando si alzò, di corsa, reinfilò il piede nella scarpa schiacciando il pasticcino e inondando di crema tutti quanti.

Si sciamava tra una stanza e l’altra approfittando dell’occasione per reincontrare cugini e zii che vedevi poco.

Lo zio Gaetano, quasi sempre seduto in poltrona, ci tollerava con pazienza. Lui, così poco “sociale”, mondano e ciarliero, non amava quella folla rumorosa. Presi uno a uno andavamo bene, ma tutti insieme eravamo decisamente troppi. Quando mio cugino Eugenio Ajroldi e io, praticamente coetanei, eravamo molto piccoli, riusciva anche a trovare una vena ironico/poetica e inventava delle piccola filastrocche coi nostri nomi: “Pildo Poldo e Baffo d’or Geraldina è come un fior…””Pildo Poldo e Baffo blu il mio Neno c’ha il cucù”, sì, perché NENO era il nomignolo di Eugenio…

Eugenio e io

Poi la magica atmosfera, che sarebbe proseguita fino a Natale, si ruppe. Cominciammo a perdere pezzi, cominciando proprio dallo zio Gaetano.

Così zia Mimmi decise di non tornare più a fine novembre ma di scollinare dopo il 10 dicembre per evitare di venire sommersa dai ricordi. 

E, piano piano, anche il pranzo di Natale fu ridotto. 

Io avevo perso papà, lo zio Cesare che amavo, e molti altri che rendevano il vuoto una voragine e decisi di festeggiare con quella che, adesso, è la mia nuova famiglia. Ora, da un anno, manca anche mio fratello Massimo e restare tranquilla a casa con marito, figlio, una coppia di amici e una cugina è tutto ciò che voglio.

Forse il segreto sta proprio in questo. Riuscire a ricreare un nucleo protettivo ogni qualvolta crolli un pezzo di muro.

E riuscire ad aprire la porta a tutti quelli che, come te, sono rimasti “scoperti”, denudati della loro corazza.

Infatti, a casa nostra, c’è sempre posto. 

3 pensieri su “Era l’8 dicembre…

  1. Maura de Bernart

    Grazie Geraldina, un grazie grato e beneaugurante….pieno di memorie, da quelle infantili di visite a Villa Pottino ecc. con i tuoi, Giuliana e Alberto, e i miei, Enzo e Miriam a quelle successive, quando zio Cesare c’era ancora e si andava da lui e Giovanna, fino all’ultima volta, con zia Giovanna ancora viva, nel 2002…e la tua ospitalità magnifica…. Un mare di bei ricordi, che salgono fin a queste regioni gelidine e relativamente ignoranti di cosa significhi ospitalità…. Abbracci grati e beneauguranti…..

  2. Angela Castiglione

    La tua storia di famiglia assomiglia alla storia di tante famiglie. Anche alla mia.
    Pian piano sempre meno a tavola anche il giorno di Natale.
    Ma i ricordi sono sempre vividi e lucidi e continuano a riempire i nostri cuori.
    Andando via i nonni e poi i genitori e poi lo squarcio del cuore quando perdi un fratello. E forse ti penti in quel momento di aver fatto solo un figlio, di non avere la casa piena di ragazzi e ragazze con i rispettivi amici e fidanzati. E ti ritrovi nel silenzio assordante di una casa troppo vuota.
    I tuoi ricordi coincidono con i miei ed il tuo stato d’animo con il mio.
    Buon Natale Geraldina

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