Geraldina Piazza

Un grattacielo costruito con le molliche di pane

Balordo…balsamo… baltico… bambagia… bambini! Ecco: bambini. Parliamo proprio di bambini. Ma dal principio…

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Paolo e io ci siamo sposati tre anni fa e quasi subito abbiamo pensato a un figlio, visto che io sono…come dire…un po’ attempata. Almeno così scrivono sui documenti se vai a partorire alla mia età! Ci avevano avvisati, i nostri amici: “Cosa credete, che sia facile avere un bambino?” – “possono passare anche anni, prima che arrivi…” Senza alcun riguardo per quegli avvertimenti che sapevano più di anatema, ci siamo messi all’opera. Basta calcolare il proprio periodo fertile in funzione del ciclo mestruale e poi darci dentro. E dopo quattro mesi, al primo ritardo, faccio il test ed esulto: positivo! Alla faccia dei menagramo. Sostengo tutti gli esami di rito, i controlli e la prima ecografia: “Ma non si sente il battito?” “No, signora, è ancora presto”. Tutto sembra proseguire tranquillo fino alla fine del secondo mese. Quindi cominciano le perdite ematiche. Dapprima scarse, poi frequenti ed abbondanti. Il ginecologo che avevo scelto per essere seguita fino al parto è latitante. Allora, avvilita, vado nella sua clinica a fare un’ecografia di controllo, ma il suo assistente mi dice che gli sembra tutto a posto, anche perché la camera gestazionale è ben evidente…e se lo dice lui… Torno a casa un po’ perplessa ed aspetto ancora qualche giorno. Il medico è all’estero, non so per quale congresso, e io sento che il mio bimbo se ne sta andando. Allora vado da un amico radiologo e al policlinico mi fa fare un’ecografia più seria. Chi mi esamina guarda lo schermo un po’ perplesso. “Ma signora, lei a che settimana sarebbe?” “Alla decima” rispondo. “Non è possibile, non ha le dimensioni giuste…e comunque non è vitale.” Bella doccia fredda. E adesso? Finalmente il mio ginecologo rientra e mi visita: l’embrione è un ovocita chiaro, termine che indica che in realtà non c’è mai stata vita in lui, come un seme, piantato nella terra, che sia ammuffito ancora prima di germinare. Ricovero in clinica e raschiamento. L’idea del fallimento ti prende e ti angoscia. Però siamo sani e compatibili, e la gravidanza l’ha dimostrato. Rimettiamoci al lavoro. Passa il tempo ma senza alcun esito. Allora, dopo sei mesi, cerco di riavere un appuntamento con lo specialista. Passano altri due mesi per essere ricevuti. “Dottore, cosa succede? Perché non riesco a rimanere incinta?”, mi guarda un po’ stranito e risponde: “Perché, lei ha già avuto una gravidanza?”. Disorientata lo osservo domandandomi che medico sia quello che non si ricorda che una sua paziente ha abortito, nella sua clinica, sei mesi prima. Mi dice di fare dei test, costosissimi, per determinare il momento dell’ovulazione, e avere “rapporti mirati”. Così facciamo, senza arrivare a nulla, quando, raccontando il tutto a un’amica mi dice: “Cambia medico, ti consiglio il mio, è molto presente, comprensivo, ti potrà aiutare”. E inizia il mio rapporto con un angelo. Avete presente quello che sperate e sognate di incontrare in un professionista che vi deve assistere in un momento così delicato della vostra vita? Ecco! Fulvio Corselli è molto di più. Al di sopra dell’immaginazione e dei comuni doveri di un medico nei confronti dei suoi pazienti. Un consiglio fondamentale: scegliete il vostro medico contando anche sulle sue doti umane. Vi sarà amico, consigliere, vi incoraggerà e vi sosterrà durante il cammino; sarà una figura fondamentale e indispensabile. Così inizio una terapia di farmaci che mi aiutano a ovulare (anche se si vedrà dopo, non è questo il problema fondamentale), e un monitoraggio costante, con ecografie che segnalano il momento fertile con assoluta esattezza. Andiamo avanti per qualche mese senza arrivare allo scopo. Allora Fulvio parla con me e con Paolo per capire se siamo talmente motivati da voler affrontare un ciclo di fecondazione assistita. Si convince e ci accompagna in uno dei più grossi centri del meridione che ha sede nella nostra città: il Centro Andros. Conosciamo l’equipe dei medici che ci seguirà, e iniziamo un cammino lento e faticoso. Secondo consiglio: prima di iniziare un ciclo di terapia come questo cercate di capirese il vostro rapporto di coppia è ben saldo, se il vostro partner sarà in grado di sostenervi psicologicamente, e se siete in grado di affrontare il tutto con estrema pazienza. Si comincia con la prima fase. Si induce una ovulazione multipla con dei farmaci a base di ormoni ed al momento giusto il seme del vostro compagno, trattato e selezionato, viene introdotto manualmente. E si aspetta. Questo comporta un lento ma inesorabile tramutarsi del vostro corpo, che comincerà a gonfiare nei punti solitamente più critici, secondo i canoni della bellezza femminile che i media ci impongono continuamente! Oltre a un’alternanza di un umore pessimo e mutevole. Facciamo tre tentativi senza approdare a nulla e, di comune accordo, si decide di provare unaltro metodo, successivo al primo, ma più complicato. Le possibilità di riuscita sono del 25-30% ed io penso: ma perché dovrei ritrovarmi sempre nell’altro trequarti??? Ma prima attraverso una bella crisi di pessimismo puro, misto a depressione e voglia di abbandonare tutto. Non a caso in questi centri ti chiedono se vuoi l’assistenza di uno psicologo, perché il cammino è tutto in salita, e anche le donne più coriacee, come penso di essere io, possono avere attimi di scoramento. Allora Fulvio, il mio angelo, mi incita e mi sprona cercando di farmi capire che non devo affatto rassegnarmi, e mi dà la forza necessaria per continuare; là dove mio marito, timoroso che per me lo stress sia troppo, decide di tirarsi indietro e lasciarmi decidere senza forzarmi. Si tenterà la ICSI, termine tecnico che deriva da una sigla inglese che vuol dire che mi verranno prelevati gli ovociti al momento opportuno e verranno fecondati in vitro con una microiniezione che porterà gli spermatozoi dentro l’ovulo. Il tutto con dei farmaci ancora più potenti, con un’iniezione costosissima e non prescrivibile, che “addormenta” il tuo corpo, e una anestesia totale per consentire il prelievo. Ricomincia l’attesa. Hanno prelevato sei ovociti e bisogna vedere se qualcuno di questi è stato fecondato con successo. Si aspettano due giorni e la risposta è positiva! Quattro embrioni aspettano il mio utero per andare ad abitarvi, cercando un rifugio caldo e sicuro. Si fa l’impianto e ancora un’altra attesa. Questa volta più lunga. Due settimane toccandosi il ventre e cercando di capire se sono ancora là dentro. Quindi il test. POSITIVO!!! Ma quanti sono? Altre due settimane e si potrà fare la prima ecografia. Nel frattempo riposo assoluto: niente Vespa, niente vela o barche varie (io faccio l’istruttore eil giudice di regata), niente pesi, strapazzi o automobile

(se ti tamponassero???). Rassegnata, ma con una bella carota davanti al naso, cerco di limitare al massimo i miei movimenti. E’ arrivato il fatidico giorno e, accompagnata da Fulvio che mi ha sempre seguito per tutto il tempo, vado al Centro per la visita. Mi distendo e una “comitiva” di medici si pone davanti allo schermo. “Sì, l’impianto è riuscito perfettamente” – “Direi che la fecondazione è andata come da manuale” – “Guarda, si vede benissimo…” Allora, con aria molto timorosa domando: “Scusate, quanti sono???” – “Fate tutte la stessa domanda!” Certo! Uno, due, tre o quattro ti cambiano la vita! “E’ uno, e sembra perfettamente a suo agio!” Tiro un sospirodi sollievo e le lacrime scendono da sole. Adesso il cammino è un po’ più in piano. Ma solo un po’. Ho visto il mio bambino ieri pomeriggio, e si distinguevano nettamente le braccine che si agitavano. Assolutamente fantastico. Ma devo continuare a stare tranquilla edogni contrazione o perditina mi fa tremare. Ancora ci sono altre tappe da raggiungere: l’amniocentesi, resa obbligatoria dai miei 41 anni, l’esame dei villi coriali, i test per la toxoplasmosi, che la presenza di un gatto in casa rende necessari, insomma: mi sembra di costruire un grattacielo con le molliche di pane!!!

SEGUITO

A fine novembre 2000 è nato Carlo, tenero batuffolo di 3 chili e 260 grammi. E’ nato con 25 giorni di anticipo grazie all’accortezza del mio adorato ginecologo, Fulvio Corselli, palermitano doc, appassionato del suo lavoro a tal punto da convincermi a continuare le cure, e che mi ha assistito con l’amorevolezza di una “mamma”. Così il mio bimbo, di secondo nome si chiama come lui, senza il quale non sarebbe mai nato. Avrei voluto fare un’anestesia parziale, con l’epidurale, per poter seguire il parto, ma, vista l’urgenza con cui ho partorito, ciò non è stato possibile. Ho fatto un parto con il taglio cesareo, necessario per non mettere a rischio la salute del mio piccolo nato da una cosiddetta “gravidanza preziosa”, che non è un modo di sentirmi importante, ma, semplicemente una di quelle terminologie mediche ridicole ed anche offensive(perché una mamma primipara di meno di 30 anni, è “attempata”? e perché, quando si fa un raschiamento, dopo un aborto, si chiama “revisione”?). Ma, tornando alla mia storia, devo confermare tutte quelle dicerie che dicono che, se uno pensa continuamente al perché non arriva il bambino, questo non arriverà mai. Carlo aveva cinque mesi ed io ancora allattavo, producendo un ormone chiamato ossitocina che, dicono, sia un potente anticoncezionale, quando sono rimasta incinta di nuovo, in modo assolutamente spontaneo e naturale. Infatti, l’ultimo dei miei pensieri, era quello di riprovarci. Fra l’altro, chi ha appena partorito ve lo può confermare, fra ferita del taglio cesareo, allattamento, nottate ed altro non è che resti molto spazio, voglia e desiderio di avere rapporti con il proprio compagno, almeno i primissimi tempi. Così, senza alcun calcolo, ho avuto un’altra gravidanza. Purtroppo anche questa non portata a termine, come la prima. Solo che, stavolta, avevo Carlo tra le braccia a consolarmi. Dalle lettere che ricevo costantemente sono arrivata la centinaio), emerge una realtà mostruosa, in cui gli uomini, compagni, mariti ed aspiranti papà che siano, ne escono con le ossa rotte, facendo figure assolutamente poco edificanti. Io sapevo di avere un marito straordinario, ma, dopo quello che leggo, assurge all’empireo di diritto. Spesso, molto spesso, la causa primaria dell’infertilità è la bassa vitalità o la scarsa quantità degli spermatozoi contenuti nel seme maschile. L’uomo, però, vive questa diagnosi come un affronto, un’offesa, e, nonostante tutte, e sottolineo TUTTE, le rogne egli oneri delle cure siano a carico della donna, l’uomo sopporta con malcelata sufficienza, o, ancor più frequentemente, colpevolizza la donna per volere un figlio a tutti i costi. Così non mi stancherò mai di ripetere che, prima di affrontare un iter duro e faticoso come quello della fecondazione assistita, bisogna rapportarsi al proprio partner, cercando di capire se il proprio rapporto è veramente stabile e se lui sarà capace di starvi vicino con l’affetto e l’intelligenza di cui avrete bisogno.

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