Geraldina Piazza

Il buco nero

Che strana la vita. Ieri, un giorno assurdo.

Ho passato la giornata a controllare la mail, in attesa di un referto che, dopo mia sollecitazione, è stato inviato alle 18.30.

E lì la mia vita, che per qualche giorno si era fermata, come cristallizzata, col fiato sospeso, dopo una risonanza magnetica che aveva individuato qualcosa che non andava, ha ripreso a pulsare, con un ritmo lento, tranquillo.

Nelle stesse ore un uomo che conoscevo, che avevo anche frequentato, ha deciso di finire la sua, di vita, con il collo stretto in una corda.

Ho avuto un brutto tumore, curato, operato e, per ora, bloccato. Ho imparato a bermi la vita, a sorsi pieni, con gusto, cercando di fare programmi, di guardare al domani, di ridere e sorridere, apprezzando tutto ciò che mi circonda, dalla mia famiglia, che è stato il motore più potente, alla natura, dagli amici ai miei gatti.

Stamattina, in montagna, sciando, ripensavo al mio responso di ieri e, guardando le bellissime montagne che mi circondano, il cielo di un azzurro stupefacente e gli abeti tutti imbiancati piangevo, pensando al dono ricevuto. Cioè di poter godere ancora di cotanta bellezza. Ho ringraziato Dio, e ho pensato a mia madre, la cui mano protettrice sento sempre appoggiata sulla mia spalla.

E poi mi è arrivato un messaggio: “C. non è più con noi”. E il sangue si è gelato.

E valutavo le due situazioni: io, aggrappata alla vita con le unghie e con i denti, e C. che ha buttato via la sua, di vita, senza pensarci due volte.

E’ sempre stato un tipo strano, molto polemico, molto provocatore, sempre farraginoso e poco lineare. Era architetto ma guardava la sua professione da lontano. Peccato perché aveva una bella testa. Ha fatto molte scelte discutibili e ha buttato alle ortiche i suoi affetti. Si capiva che il suo essere tormentato lo rodeva, come un tarlo, dal di dentro. Su FB, qualche settimana fa, aveva lanciato un sasso provocatorio sul come non valesse più la pena vivere la sua vita. Avevamo ribattuto tutti, con veemenza e con ironia, ma io ho tanti campanelli che suonano quando colgo il disagio di vivere in qualcuno. Gabriella, amica comune, gli aveva parlato a lungo, incontrandolo per caso in un pub. Aveva grossi problemi di salute C., il suo cuore funzionava a strappi e lui sapeva che la sua vita era appesa a un filo, e nonostante tutto le aveva chiesto una sigaretta. A quel punto lei aveva cercato di convincerlo, parlandogli dei suoi due bambini, dicendogli che avevano bisogno di un padre, e che doveva curarsi per loro.

Ma il mal di vivere non si cura facilmente. Ti divora da dentro, ti leva ogni motivazione, ogni desiderio, ti porta in un buco nero che ti inghiotte e ti trattiene.

Qualcuno mi ha detto: “Avremmo dovuto aiutarlo tutti”… Ma quando sei in questo stato, in queste condizioni, non lo vuoi l’aiuto. Spesso nemmeno riconosci di averne bisogno.

E nelle mie esperienze di suicidio e di frequentazioni con il Prof. Luigi Biondi, neuropsichiatra, ho elaborato la tesi che ti porta a capire che quando usi una corda vuoi anche punirti, come se ti sentissi colpevole di qualcosa, vuoi soffrire per espiare.

Comunque ti penserò C. , penserò alla tua voglia di andartene in contrasto con la mia voglia di restare, e forse avrei potuto aiutarti raccontandoti di come è importante apprezzare la vita quando stai per perderla.

 

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