Geraldina Piazza

Il vaso rotto

Ci sono delle strane circostanze in cui non si riesce a trovare il bandolo della matassa. E ci sono dei momenti in cui lo scoramento prende il sopravvento, soprattutto se ti accorgi, alla mia stagionata età, di non aver capito nulla di chi ti circonda. 

Di non esser riuscito a valutare correttamente le persone. Purtroppo uno degli effetti di questa maledetta pandemia è proprio questo: la rottura di amicizie decennali. E non lo definirei un effetto secondario, collaterale, ma, piuttosto, una bruttissima e inevitabile conseguenza di qualcosa che ha messo a nudo caratteri, paure e angosce. 

È proprio vero che, nel momento in cui si è più in difficoltà ci si disvela. Nel bene e nel male. Noi abbiamo proprio tracciato un confine tra chi si è vaccinato e chi no. 

Essendo reduce da radio e chemioterapie vengo definita immunodepressa, quindi “fragile”. 

Siamo stati molto prudenti con le frequentazioni, i contatti e le uscite per tutto il periodo in cui si lavorava alla sperimentazione anticovid. E quando, finalmente, hanno trovato un rimedio, e la legge ce lo ha consentito, siamo corsi a vaccinarci. Tutti e tre, senza alcuna esitazione. 

Nessuno di noi ha porto il braccio canticchiando sereno, ma, eravamo certi che fosse la miglior soluzione possibile per cercare di bloccare la diffusione del virus, proteggerci e far ripartire al più presto la nostra vita. 

Abbiamo discusso, prima con toni persuasivi e poi più accesi, per poi allontanare definitivamente tutti coloro che NON CAPIVANO. Perché non bisogna essere scienziati/virologi/immunologi per constatare i dati del Ministero della Sanità. Il virus è regredito e in ospedale finisce, per il 90%, gente NON VACCINATA, e muoiono, per il 95%, persone che hanno rifiutato il vaccino e l’esistenza del virus stesso. 

Fra l’altro queste persone hanno permesso, ammalandosi, che il virus mutasse, trasformandosi in un essere più aggressivo e che meglio resisteva alle cure, quindi molto più pericoloso. 

Non posso perdonare loro di essere causa di contagio per tutti i “fragili” come me che, però, non possono vaccinarsi e sono molto più esposti non per loro volontà. 

Non posso perdonare loro di averci riportato in zona gialla e di aver bloccato l’economia e il lavoro di chi non ha le risorse per resistere. 

Non posso perdonare loro di costringermi a portare la mascherina facendomi soffocare e morire d’ansia (soffro di claustrofobia).

Ma, soprattutto, a coloro a cui ho voluto bene e che ho frequentato per anni, non posso perdonare sia di essere morti ché di avermi deluso, e non necessariamente in quest’ordine. 

Ho sentito talmente tante scuse, ragionamenti illogici, ho sentito di malattie allontanate col cibo sano e le passeggiate in montagna, di vaccini rimandati perché si doveva andare a comunioni/cene/viaggi di lavoro e molto altro. 

E tutto questo mi ha aperto gli occhi, rivelandomi la vera natura di chi avevo intorno, facendomelo andare in mille pezzi mentre cadeva dal piedistallo dell’affetto. Facendomelo apparire stupido, piccolo, poco intelligente. E il bene che si è voluto viene annientato davanti al cinico egoismo di chi pensa solo a sé stesso. Senza riguardi per chi si ha intorno, anzi, pretendendo rispetto per delle scelte che non rispettano gli altri. 

Provo solo sgomento, e una profonda tristezza per non essermi accorta della pochezza di chi frequentavo, se non quando una brutta circostanza ci ha messo alle strette. 

E non riesco a riempire le fessure che rovinano un vaso rotto incollato con l’oro, come fanno i giapponesi, per aumentarne il valore. Anzi, più lo vedo e più mi fa rabbia, e lo vorrei scagliare lontano da me per quanto mi sembra brutto.

Non sono mai stata accomodante, anche se, con l’età, ho smussato molti angoli. Ma davanti a un problema di salute come quello in cui stavamo affogando, come nelle sabbie mobili, non ho visto alternative. E se qualcuno arriva a parlarmi di Montagnier, allora prendo il martello e di quel vaso non resterà che polvere.

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