Geraldina Piazza

«Non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con la mia anima”

Facebook, piccola piazza di paese, popolata da schiffarati perditempo, insoddisfatti e inconcludenti, il cui unico gusto è quello di criticare, è la mia fonte di ispirazione per questa riflessione. 

Il Maestro Giovanni Allevi ha partecipato a Sanremo, esibendosi in pubblico e suonando il pianoforte dopo due anni di BUIO.

Dopo un concerto a Vienna, appunto due anni fa, non riuscì ad alzarsi dallo sgabello per ringraziare il pubblico per il dolore lancinante che aveva alla schiena.

Fu in quel momento che gli fu diagnosticata una malattia fetente, un tumore del sangue che si chiama mieloma multiplo, che provoca, fra le altre, fratture spontanee e una grande stanchezza dovuta all’anemia.

Ci sono molte cure, compreso l’autotrapianto, ma non è dato sapere in che modo stiano curando, e non penso sia fondamentale saperlo, il Maestro Allevi.

So solo che su quel palco, ieri, si è messo a nudo. In quel modo sempre sopra le righe che caratterizza il suo essere, fra risolini e smorfie (ma è sempre stato così), e ha raccontato, con il cuore, gli occhi lucidi e le mani tremanti, quello che ha passato e come è riuscito a cogliere, da ogni istante di sofferenza, un insegnamento, un dono, come lo chiama lui, o anche solo un attimo di crescita.

Ha imparato a soffermarsi sulla natura, vista dalla finestra della sua stanza d’ospedale, raccontando la bellezza dei rossi delle albe e dei tramonti, così diversi tra loro, dei cieli azzurri e delle nuvolette che li abbelliscono, e delle facce sorridenti e rassicuranti del personale e dei medici che lo hanno assistito e che ha calorosamente ringraziato.

Ha elencato quello che ha perso, restando fuori dal mondo tanto tempo, quello a cui ha dovuto rinunciare, dal suo lavoro ai capelli, alle certezze e al non poter più programmare un futuro. Ma senza mai perdere le speranze e la voglia di immaginare. Cosa che lo ha tenuto saldamente attaccato a questa terra.

Ha raccontato di come le prospettive siano cambiate, come un dono fatto dal dolore: dai primi concerti, con 20/30 persone in sala, allo sgomento, una volta famoso, nel vedere una poltrona vuota in un auditorium da 500 posti. Per tornare poi a godere del fatto che si poteva ricominciare a suonare anche con poco pubblico che, magari sarebbe stato disposto a perdonarti una nota sbagliata o un’incertezza per le mani che tremano o le costole rotte che ancora ti rendono instabile e dolorante.

Quindi arriva la gratitudine verso gli individui nella loro unicità, verso la propria famiglia, la ricerca medica, che ha contribuito alla guarigione, e alla forza e all’esempio degli altri pazienti, che lo hanno coccolato e incoraggiato, e verso la bellezza del creato che ha potuto apprezzare dalla finestra dell’ospedale.

Così ti accorgi che il baricentro dei tuoi valori si sposta. Che godi, giorno per giorno, nell’apprezzare le piccole cose che ti circondano. Anche se per altri minuscole e insignificanti.

Scopri che quando tutto ti crolla intorno il giudizio degli altri non conta più. Sei solo davanti a te stesso e quel che sei sei.

E devi imparare a convivere con il “nuovo” Giovanni, che sotto il cappello ha scoperto dei riccioli bianchi, diversi da quelli che aveva lasciato.

Come mi sono ritrovata nelle sue parole.

Io appartengo a quella, ormai, purtroppo, folta schiera di “sopravvissuti” a un tumore. 

E la tua bilancia dei valori sposta il suo baricentro verso punti imperscrutabili visibili solo a noi, che però ci danno pace.

Così si apprezza anche un bel panorama, un uccellino che si poggia la mattina sulla pianta d’arancio davanti la tua finestra, il sorriso di un’amica, o il gatto che ti fa le fusa sulla pancia e si buttano a mare tutte le stronzate a cui andavi dietro fino a poco tempo fa, compreso il commento acido di un invidioso o uno sgarbo intenzionale che, ormai, non ti tocca più.

E allora il Maestro Allevi conclude: “Non potendo più contare sul mio corpo suonerò con la mia anima”.

E, nonostante tutto, ci sono stati dei paesani, a passeggio nella piazza di Facebook, che hanno criticato il suo atteggiamento, i suoi racconti, i suoi “lamenti” dato che ha già il sold out a tutti i prossimi concerti.

Allora, penso io, repressi che campate giudicando gli altri, dovreste provare anche voi, provare cosa vuol dire camminare, bendati, sulla lama di un rasoio, senza avere più niente in mano di tutto quello che avevate progettato, programmato, per il quale avevate lavorato duro e senza sosta, e non sapendo più se domani sarete ancora in grado di rialzarvi, guardando fisso il soffitto di una camera di ospedale, e poi me lo venite a raccontare.

Io sono qui. Vi aspetto.

Un pensiero su “«Non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con la mia anima”

  1. Vincenzo Ippolito

    Un articolo bellissimo e necessario per una platea di haters che apre la bocca dopo aver chiuso la mente… ma anche per tutti i tanti altri come me che ogni giorno ringrazio la Vita che amo immensamente. Oggi ringrazio Te, amica mia di tutta la vita per avermi permesso di leggere queste righe. Evviva la Vita.

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