Geraldina Piazza

Anime e pensieri

mamma e Miriamb

La mia mamma (a sinistra) e la sua amica del cuore Miriam De Bernarth, ebrea.

Mi ricordo ancora dove eravamo, io e la mia mamma, quando sentimmo alla radio dell’anatema lanciato da Berlusconi contro Enzo Biagi, Santoro e Luttazzi mentre era in visita ufficiale in Bulgaria (il famoso “Editto Bulgaro”).

Lei si rabbuiò e mi disse, a denti stretti, “Così cominciò il fascismo”. Aveva un viso di pietra. Non lo scorderò più.

La mia mamma, classe 1927, additava sempre, come scusante, quasi che una ragazzina di 17 anni potesse avere delle colpe, “Noi non sapevamo”, “Nessuno poteva immaginare una cosa simile”.

Io continuo a guardare, ogni anno, in questo giorno della memoria, le immagini che scorrono in tv a memento di tanto orrore, perché un popolo che non ricorda il proprio passato potrebbe riviverlo…

Le lacrime scendono, silenziose, senza poter far nulla per arrestarle. Un groppo serra la gola mentre vedi quegli occhi, che saltano fuori, increduli, dai visi scavati, su dei corpi svaniti nel digiuno, nel freddo e nella fatica.

Pile di scarpe, di valige, di capelli di donne mortificate anche da una nudità inutilmente esposta.

Per tanti anni ho guardato tutti i documentari che raccontavano di quel periodo, ho letto, mi sono documentata, ho visto i film che narravano questi orrori.

Adesso devo distogliere lo sguardo perché, quando vedo i cancelli, il filo spinato e le baracche posso sentire le anime, i lamenti, rivedo le persone.

Mi capita, di sentire le presenze in una casa, di sapere, senza esserci mai entrata, chi vi ha abitato, se era una casa “felice” o “tormentata”. Mi capita di ricevere messaggi da portare a parenti increduli su argomenti che non conosco.

Non è piacevole.

La sensazione è sempre di angoscia, di smarrimento.

Ma quello che sento quando vedo queste immagini sui campi di concentramento farebbe scappare chiunque.

Tante volte sono uscita repentinamente da una appartamento che visitavo per comprarlo o per affittarlo, tante volte ho avuto conferma dai proprietari di ciò che in essa vi era accaduto, troppe volte queste presenze mi hanno oppresso con i loro ricordi.

Andando ad Amsterdam sono stata nella casa di Anna Frank, o meglio, nel rifugio, nascosto sul retro dell’attività commerciale di Otto Frank. Si spostava una libreria e si entrava in un alloggio su tre piani, contigui al negozio, nella parte posteriore dello stretto fabbricato, fatto di ambienti piccoli, umidi, in cui vivevano due famiglie e un loro amico, senza la possibilità di uscire mai, accendere le luci, aprire le tende, affacciarsi, se non dalla soffitta, dove, dal lucernario, vedevano i rami di un ippocastano. I più grandi desideri, una volta liberati, erano di fare un bagno caldo o di mangiare un dolce. E questo fino al momento dell’arresto, su segnalazione di un delatore, dopo DUE anni.

Ma chi è l’UOMO per fare questo a un altro UOMO??? Esseri obnubilati dal delirio di onnipotenza, convinti di poter decidere i destini dell’umanità, senziente e prona.

Sono stata malissimo in quella casa, durante la visita. È per questo che non potrei mai fare un viaggio per visitare quei luoghi pieni di anime.

Ma continuo a guardarli in tv, ben sapendo che i loro pensieri mi arriveranno lo stesso, opprimendomi, perché NON SI DEVE DIMENTICARE, almeno fino a quando non sarà riconosciuta la dignità a tutti gli uomini, come è scritto su una lapide ad Auschwitz. Ma vedo quel momento assai lontano.

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