Geraldina Piazza

Manuale di conversazione

     Ogni tanto da qualcosa di sgradevole possono nascere dei momenti di buonumore…

Ho una parente un po’ psicopatica. O per lo meno, le sue farneticazioni e la mia lunga frequentazione come segretaria dello studio di neuropsichiatria del Prof. Biondi, me lo fanno pensare.

E’ una di quelle che se la canta e se la suona da sola, però, avendola lasciata fare fino ad ora (ha più di sessant’anni) diventa più difficile tirare le redini.

Chissà quanti ne conoscete che, a un certo punto della giornata, decidono di lanciare il sasso dal cavalcavia. Poi, sornioni, ben nascosti dietro un cespuglio, si godono le reazioni altrui. E, se scoperti, ti dicono: “Ma io scherzavo, l’ho fatto perché mi annoiavo…”

Ecco, a chi mi taccia di essere “malocarattere” dimostro subito che non lo sono perché non l’ho mai presa a testate sui denti.

Comunque, la discussione letteraria (Lei non si espone mai de visu) mi ha fatto pensare a un libro delizioso letto nella mia adolescenza. È di uno dei miei autori preferiti: Achille Campanile, e si chiama “Manuale di conversazione”.

Racconta dei libri scolastici per imparare l’inglese dove le frasi coniate sono assolutamente surreali, del tipo: “Hai visto la mia scarpa verde? No, ma posso portarti a teatro più tardi”.

Questo, naturalmente, serve a imparare più vocaboli, ma dà l’idea che gli inglesi siano tutti pazzi.

Ecco. Questa parente di cui sopra, mentre si discute di come condire la pasta, se ne esce con rinfacci che riguardano la gita a Mondello di vent’anni prima. Ormai ho imparato la tattica e, prima di reagire penso, poi, dopo una timida reazione e un rilancio, da parte sua, sconclusionata, comincio a contare.

Ventimilasettecentoventitre, ventimilasettecentoventiquattro, ventimilasettecentoventicinque…

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