Geraldina Piazza

Storie di famiglia

A casa mia si è sempre respirata un’aria…come dire…ARTISTICA. Papà, avvocato, capo dell’ufficio legale dell’Irfis, era un ottimo pianista e componeva. Aveva anche vinto due edizioni del Festival della Canzone Siciliana. Poi, un giorno, incontrò Renzino Barbera, in un salotto palermitano, mentre lui, giovane e di bella presenza, intratteneva il gruppo, e, soprattutto le belle signore, con gag e scenette di puro cabaret.

Finita la serata andarono via insieme, passeggiando in una tiepida serata siciliana, e papà, presolo sotto braccio, gli domandò a bruciapelo: “Ma tu, oltre a queste cose non hai mai scritto niente di più serio? Di più poetico? Io sono sicuro che tu hai tanta roba conservata nel cassetto e t’affrunti…”

Renzino sobbalzò, perché, anche se apparentemente sfacciato, in realtà conservava i suoi sentimenti in cassaforte.

Si rividero, e Renzino portò a papà le sue poesie e, piano piano nacque un progetto, un omaggio alla Sicilia, così di cuore che il titolo fu scelto subito: “SSSicilia”, con tante S, per rafforzare il concetto. Era un grande libro, dove trovavano spazio le poesie di Renzino accompagnate dalle foto di papà. E ogni tanto succedeva, al contrario, che papà, che girava sempre con la sua macchina fotografica al collo, facesse una foto particolare su cui poi Renzino ricamava dei versi.

Insieme al libro era allegato un 33 giri (infatti il libro aveva quel formato) che conteneva le poesie recitate da Renzino con l’accompagnamento all’organo elettronico di musiche composte e suonate da papà. Il tutto veniva registrato la sera tardi a casa nostra (vivevamo in un appartamento in una strada poco frequentata), con le attrezzature superprofessionali che lui possedeva. Pensate che in una recito pure io! Renzino passava le serate a casa nostra ed era considerato uno di famiglia. Poi il libro fu editato, in due edizioni, la prima da Fausto Flaccovio e la seconda da Cassina, con la Telestar. Fu un successo strepitoso. Fecero tournée e recital fino a Milano. Erano stati invitati pure a Spoleto, al Festival dei due Mondi. Furono contattati dalla Rai e per tanti anni parteciparono alla trasmissione regionale del Ficodindia e Renzino fu invitato in una trasmissione che il Quartetto Cetra faceva sulla Targa Florio. Recitò una bellissima poesia scritta per l’occasione in cui anche io avevo una piccola parte. Ma il destino decise per loro.

Infatti, con la malattia e la morte prematura di papà, e con Renzino, poco avvezzo a mondanità e pubbliche relazioni, tanti altri progetti sono poi rimasti nel cassetto e lui si ritirò a Taormina. Fino al 1996. Anno in cui io decisi di ritirare fuori quel libro che proposi a Dario e Marisa Flaccovio che, con entusiasmo decisero di rieditarlo, in formato più piccolo e con in allegato un cd.

Andò esaurito in pochissimi giorni, ma io ne conservo tutte le copie. Compresa l’ultima a cui feci una piccola prefazione firmandomi con il nome del bambino che interpretavo nel disco: Cianè.

Questo è l’articolo che accompagnò, sui giornali, l’uscita dell’ultima edizione:

“Non ricordo mio padre senza la macchina fotografica al collo.

Anche se sono passati quasi 20 anni da quando se n’è andato, è rimasto impresso nella formazione del mio carattere uno degli insegnamenti più importanti della mia vita: “coltiva molti interessi per avere sempre una via d’uscita anche nei momenti difficili”.

Infatti la passione per la musica, la fotografia, la poesia, i viaggi, ha sempre dominato ogni  sua scelta; e deve essersi aggrappato a questa sua esplosiva voglia di vivere se è riuscito a non farci pesare la malattia che gli ha fatto trascorrere otto anni su di una sedia a rotelle. 

Scrivere di una persona che ci ha lasciato troppo presto rispetto a quello che ancora poteva trasmettere e comunicare, è difficilissimo; soprattutto se questi era tuo padre e lo adoravi. 

Ma per fortuna sono aiutata dal grande patrimonio che ci ha lasciato; migliaia di fotografie che ci fanno tornare indietro di trenta, quarant’anni (con le quali verrà allestita fra breve una retrospettiva nei locali dell’Assessorato alla Cultura a Villa Trabia), tante canzoni che parlano della nostra terra, scherzosamente, come le tarantelle con cui partecipò, nei primi anni cinquanta, a due festival della canzone siciliana, oppure in modo drammatico, come quelle portate al successo da Rosa Balistreri, con la quale ci fu un “colpo di fulmine”; scrisse anche delle musiche per balletto, con il Maestro Ludovico Durst, che allora aveva una delle più prestigiose scuole di danza palermitane, ma soprattutto ha prodotto, negli anni sessanta, un bellissimo libro: SSSICILIA.

Era un omaggio commosso alla Sicilia di quell’epoca; il libro conteneva delle poesie scritte da Renzino Barbera e delle fotografie di papà, a questo era allegato un disco in cui Renzino recitava mentre lui suonava all’organo delle sue composizioni.

Renzino e papà s’incontrarono una sera a casa di amici, si conoscevano da quando erano ragazzi, ma non avevano mai scoperto di avere in comune una passione fortissima per la loro terra. 

Si scambiarono delle idee, chiacchierando per le strade di una Palermo addormentata, e si accorsero che avrebbero potuto parlare ancora per giorni.

SSSicilia era già nato! Un embrione piccolissimo che avrebbe avuto il suo sviluppo in un anno di lavoro, fitto fitto, che avrebbe rubato, a due amici indaffarati, tutti i loro ritagli di tempo.

Ecco! Questo libro è stato concepito, elaborato, rimuginato tutte le notti e le domeniche (allora non esisteva la settimana corta!) che Renzino e papà avevano libere; è stato registrato interamente a casa nostra con le apparecchiature professionali di papà, e spesso sono incorsi in episodi divertenti che ancora si raccontano ridendo: una delle poesie di Renzino (“Quattru petri”) ad un certo punto recita: “u senti stu rumore?” ed a questo punto succedeva qualcosa che disturbava la registrazione; o partiva una macchina, o rincasava un inquilino e sbatteva il portone, o qualcuno telefonava, insomma, si dovette elaborare un piano, anche perché Renzino ormai cominciava a ridere ancora prima di arrivare al verso incriminato. I miei fratelli furono sguinzagliati in portineria a bloccare chiunque arrivava, mamma tenne occupato il telefono e dopo qualche altro tentativo si riuscì a registrare.

Anch’io ho avuto una parte in una poesia che parla di un bambino povero che non poteva andare a scuola perché scalzo; ricordo sorridendo le difficoltà di pronunzia del siciliano per me che ancora non sapevo neanche l’italiano; il bambino si chiamava “Di Fiore Cianè”, ed ancora adesso io vengo chiamata “Cianè”.

In questo libro ogni poesia è accoppiata a delle fotografie, ma è anche capitato il procedimento inverso; papà dava a Renzino una sua foto particolarmente significativa e lui creava un “ricamo”, come quello sulla vecchina appoggiata al portone della Banca d’Italia di Via Cavour.

Quando la sera arrivava a casa nostra, dall’oleificio Barbera dove lavorava con suo padre, prima si tuffava nel frigo a farsi un panino e poi cominciava il teatrino con vari racconti sui personaggi che lavoravano con  lui, quindi tirava fuori, scritta a penna su un foglietto molto vissuto, quello che aveva pensato: papà lo ascoltava sorridendo mentre mamma, seduta in un angolo del divano, lavorava all’uncinetto.

Finito di leggere Renzino la guardava ed aspettava un cenno, come la mannaia del boia, ed ancora oggi non ho capito perché, ma per lui aveva più valore quel cenno di ogni commento di papà. E siccome lo chiamava “il babbo”, da pronunciarsi con l’intonazione di don Totò, ancora oggi chiama mamma, per spettanza coniugale, “la babba”.

Anche ora può succedere che Renzino chieda a mamma un suo parere su ciò che scrive, e ciò ci fa capire la forza di questo legame che non si è mai spezzato.

Avevo solo sei anni quando fu pubblicato per la prima volta il libro, ma ricordo benissimo il successo che ebbe. Dagli articoli sui giornali agli spettacoli teatrali che li portarono anche a Milano e a Roma dove, pur recitando in dialetto, furono applauditissimi. Poi il libro andò esaurito e ne fu fatta una seconda edizione; finita anche quella papà e Renzino avevano cominciato un nuovo lavoro: era dedicato ai vecchi giocattoli; c’erano il pulcinella meccanico che sbatteva i piatti, la corda, la bambola di pezza, la girandola e tanti altri ricordi del passato che fu. Purtroppo questo lavoro non fu mai concluso perché papà si ammalò, lasciandomi la voglia struggente di far conoscere alle nuove generazioni un lavoro così bello.

Mi sono messa in cerca di un editore, e chi lavora nel campo sa di che tipo di impresa si tratti, fino a quando il Destino non mi ha fatto incontrare una coppia di angeli!

Casualmente ho fatto vedere il libro a Dario e Marisa Flaccovio chiedendogli se lo conoscessero, e senza sapere nè chi fossi, né perché glielo mostrassi, mi hanno risposto che non solo lo conoscevano, ma che, secondo loro, era uno dei più bei libri sulla Sicilia che avessero mai letto. Allora ho chiesto loro se mi potevano indirizzare a un editore disposto a ripubblicarlo, e guardandosi negli occhi mi hanno detto: “l’hai trovato!”.

Eravamo all’inizio dell’estate e il lavoro è stato soprattutto di ricerca del vecchio materiale fotografico conservato da papà, dopo trentacinque anni, in modo caotico.

Quindi il disco, ormai desueto, e sostituito dal Compact Disc: sembra facile, ma ci sono solo pochissimi laboratori, in Italia, che si occupano della duplicazione dei CD, e, fini a ieri, si disperava di poterlo ottenere per Natale: poi la notizia, sono arrivati, ce la facciamo!

E finalmente avere in mano la testimonianza di un atto d’affetto verso una persona che di affetto, alla Sicilia tutta, ne ha dimostrato veramente tanto.

RENZINO BARBERA

“Non sarei riuscito a sviluppare le mie idee, le mie capacità, se Alberto non mi avesse guidato: la mia locomotiva a fantasia non avrebbe mai potuto trainare un vagone di poesie se il babbo non mi avesse fatto da binario”.

Renzino è una persona piena di creatività, ma deve scontrarsi continuamente con la sua dispersività che gli fa iniziare mille cose senza poi concluderle. E’ anche una persona molto pigra, e non a caso vive a Taormina, dove la vita quotidiana ha ritmi assai diversi da quelli di una grande città, e si può stare intere giornate affacciati ad una finestra per nutrirsi di mare, Etna e natura.

Per anni grandi comici siciliani hanno avuto successo nel ”continente” con il suo repertorio, e lui è stato a guardarli senza minimamente pensare di poter fare altrettanto.

Si è voluto “accontentare” pur di non muoversi dalla sua Sicilia, rinunciando a tante cose e facendo propria la filosofia di quel panellaro che in Piazza Leoni apriva solo la mattina perché quello che guadagnava gli bastava a vivere bene, ed il pomeriggio andava a passeggio con la moglie.

In Alberto Piazza Renzino ha avuto un pigmalione che ha tirato fuori da lui soprattutto la vena poetica. Da sempre aveva fatto “ridere”, ma la sua drammaticità non era da salotto, e con molta timidezza la teneva nascosta gelosamente in un quaderno pieno di poesie meravigliose.

Durante quella storica passeggiata notturna tutto questo venne a galla e mio padre, con un po’ più di iniziativa, gli propose di fare qualcosa insieme.

Probabilmente il più grande rimpianto di tutti noi è per quello che ancora avrebbero potuto creare insieme, e che purtroppo è rimasto in un quaderno di musica con le pagine ancora bianche.”

                                                               GERALDINA PIAZZA

                                                                         (CIANE’)

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